lunedì 4 febbraio 2008

Firmato il DPCM per la qualifica unica della Dirigenza delle Professioni Sanitarie

“ E’ per me motivo di grande soddisfazione aver portato a compimento una regolamentazione che le Professioni attendevano dall’emanazione della legge n. 251/00 . L’auspicio è quello che in questi giorni si possa portare a compimento l’istituzione degli Ordini professionali così da completare un percorso che concede la pari dignità a tutti i professionisti sanitari e al cittadino la garanzia di prestazioni di qualità “ .
Gian Paolo Patta (Sottosegretario Min. Salute)

Vedi link

http://www.aitep.eu/it/public/downloads/dpcm_dirigenza_professioni_sanitarie.pdf

Chi valuta chi?

Si dibatte, ci si scontra, si argomenta intorno alla necessità di legare una parte sempre maggiore della retribuzione al risultato ed alla valutazione dei singoli. E’ uno dei temi caldi di questi anni mai pienamente risolto, mai completamente sopito. Ogni volta che torna a galla il mare si agita sino a tramutarsi in tempesta.

Le domande si rincorrono: su che cosa si valuta?
Non bastano solo valutazioni quantitative (più numeri /meno numeri) ma anche qualitative (più bene /più male).
Con quali strumenti?
Ricordiamoci che: « siamo quello che gli altri pensano di noi, non quello che pensiamo noi di essere ».
Ed ancora: chi valuta chi?
e soprattutto
Come garantire uniformità e correttezza di giudizio?
Sicuramente la valutazione non deve venire da una sola testa e da un solo “luogo”. Ci vuole una pluralità di giudizio basata su elementi diversi. Qui entra in ballo anche la capacità manageriale dei dirigenti e dei coordinatori: chi li indirizza, chi li valuta, chi li sceglie, chi li rimuove? “Il pesce puzza dalla testa”.
Quello che facciamo è davvero utile (efficace)?
Il nostro operare dà veramente risultati apprezzabili in termini di raggiungimento della mission? Oppure segue la routine o peggio l’autosopravvivenza? E’ doveroso mettere in discussione, come in parte si sta già facendo, il nostro lavoro; è indispensabile aprire gli armadi e guardarci dentro fino in fondo.

venerdì 1 febbraio 2008

TAVOLO NEGOZIALE 30 Gennaio 2008

c/o Aula Magna P.O. Gemona h. 14.30


  • La D.G. presenta la bozza del regolamento straordinari e prestazioni extra; l'R.S.U. e le OO.SS. si riservano di far pervenire le proprie valutazioni.


  • Sulle progressioni orrizzontali la D.G. e l'R.S.U. + OO.SS. precisano la proprie posizioni. La D.G. si impegna a far pervenire la propria proposta scritta entro una settimana.








martedì 29 gennaio 2008

Progressioni Orrizzontali

Per l'attribuzione delle prpgressioni orrizzontali (risorse anno 2006), l'R.S.U. ha propone i seguenti criteri:



  • Utilizo di tutte le risorse residue fondo art. 31 anno 2006 su progressioni.

  • Anzianità di servizio per accesso, come da integrativo (2A, 3B, 4C, 5D) – maturata anche in altre amm.ni del S.S.N.

  • Priorità a fasce 0 e ½ fasce, con valutazione

  • VALUTAZIONE SU TRE PARAMETRI (3 domande)
    - Professionale
    - Relazionale
    - Gestionale

  • VALUTAZIONE CONGIUNTA (Commissione)
  • - Resp. Dipartimento
    - Resp. SOS /SOC
    - Coordinatore


  • ANZIANITA’
    - Valutazione di tipo matematico (più fasce possibile)
    - Blocco 35 anni

  • ASSENZE
    - 20 giorni
    - No infortuni

lunedì 14 gennaio 2008

I GIUSTI

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
Jorge Luis Borges

venerdì 11 gennaio 2008

09.01.2008 TAVOLO NEGOZIALE


Primo incontro con la Delegazione trattante di parte pubblica.

Abbiamo richiesto:


Le richieste sono state accolte e sono state definite date dei prossimi incontri.




domenica 6 gennaio 2008

LA CULTURA D'IMPRESA E LE MORTI SUL LAVORO


di Luciano Gallino
La tragedia della ThyssenKrupp di Torino, sconvolgente per dimensioni e atrocità, insieme con l`impegno delle istituzioni per evitare che eventi simili si ripetano espresso anche dal presidente Prodi al funerale d`una delle vittime - ha rilanciato la discussione circa le cause degli incidenti sul lavoro. Tanto per memoria, secondo un`indagine dell`Eurispes presentata alla Camera dei Deputati nel maggio scorso, essi hanno provocato tra il 2003 e il 2006 ben 5.552 morti, che sono 2.000 in più dei militari morti in Iraq nello stesso periodo.
Quanto al 2007, si stima che soltanto nell`industria e nei servizi i morti siano stati 1050.
Per non parlare delle decine di migliaia di lavoratori che ogni anno subiscono invalidità permanenti.
L`elenco delle cause degli incidenti sul lavoro è lungo.
Gli ispettori che operano realmente sul campo sono pochi, né dispongono di risorse adeguate per rendere più frequenti e incisivi i controlli. Sui luoghi di lavoro tanto la formazione alla sicurezza, quanto il rispetto quotidiano delle relative norme, sono spesso manchevoli, sia tra i quadri e i dirigenti che tra gli stessi lavoratori: una lacuna accentuata dal numero eccessivo di addetti con contratti di breve durata (anche se questo non era il caso della ThyssenKrupp). La frammentazione della produzione in lunghe catene di appalti e subappalti rende più difficili i controlli e ostacola la ricerca delle responsabilità.
Chiunque abbia esperienza di fabbriche e cantieri può allungare l`elenco.
Ma per quanto esso si prolunghi, v`è un fattore che non compare mai tra le cause più comunemente citate degli incidenti sul lavoro. Si tratta della attuale cultura di impresa, la versione oggi dominante di quella che gli anglosassoni chiamano corporate culture.
Una cultura definibile come l`insieme dei fattori tecnici e umani; dei parametri economici e temporali; dei tipi di conseguenza di un`azione; dei metodi di calcolo delle priorità e del rischio che i dirigenti d`ogni livello sistematicamente utilizzano, sono addestrati a utilizzare, e sono formalmente tenuti a utilizzare dall`impresa, in tutte le decisioni che prendono nella gestione quotidiana dei siti produttivi. E una cultura raffinata e complessa, che si impara con anni di studio nelle facoltà di economia e di ingegneria, per essere poi sviluppata e consolidata in altri anni di esperienza in azienda.
Negli ultimi vent`anni tale cultura ha conosciuto, sia negli atenei che nelle imprese, innovazioni rilevanti. Beninteso, da sempre la cultura di impresa è orientata al profitto - senza di essa semplicemente non esisterebbero le imprese.
Quel ch`è cambiato, in meglio per gli azionisti e i manager, in peggio per i lavoratori, sono i modi e i mezzi con cui il profitto viene perseguito.
In sintesi, entro la matrice decisionale in cui si incrociano le azioni da intraprendere e le loro conseguenze, i parametri puramente economici sono oggi diventati prioritari rispetto aquellitecnici, l`orizzonte temporale da considerare si misura ora in mesi piuttosto che in anni, e il peso assegnato comparativamente alle conseguenze d`una decisione sul fattore umano è diminuito. Da tale cultura discendono - tra l`altro - la ricerca ossessiva del lavoro flessibile, in termini sia di occupazione che di prestazione, l`intensificazione dei ritmi di lavoro in tutti i settori produttivi, nonché i bassi salari medi, da porre accanto ai compensi astronomici che i top manager complessivamente percepiscono.
Discendono anche, in buona misura, gli incidenti sul lavoro.
La nuova corporate culture si fonda su valutazioni del rischio molto approfondite.
In primo luogo, è ovvio, del rischio economico. I prodotti finanziari, che anche i dirigenti tecnici debbono conoscere, incorporano valutazioni del rischio spinte a un decimo d`un punto percentuale.
Ma calcoli analoghi vengono effettuati anche per i più diversi elementi degli impianti e dei prodotti materiali. Un dirigente è anzitutto tenuto a sapere quante probabilità vi sono che un apparecchio o un componente di questo, fabbricato nel suo stabilimento, si rompa entro un certo periodo di tempo o tot cicli di uso, e quali danni può arrecare a chi lo usa. Tuttavia lo stesso dirigente non può non sapere sempre in termini probabilistici - dove e quando, in determinate condizioni d`uso, una parte del macchinario cui sovrintende si romperà, o esploderà, o prenderà fuoco, recando eventualmente danni alle persone.
Nel caso non bastassero le sue competenze, un dirigente trae informazioni su quel che può probabilmente succedere dalle compagnie di assicurazione con cui l`impresa ha sottoscritto delle polizze.
Una polizza assicurativa è, per certi aspetti, un derivato della scienza delle probabilità.
L`entità del premio è commisurata alla probabilità e gravità dell`incidente: tanto più probabile e grave l`evento, tanto più elevato il premio.
E questo il motivo per cui gli ispettori delle assicurazioni sono particolarmente ferrati nell`indagare sui rischi. Per tornare al caso della ThyssenKrupp di Torino, risulta dalla stampa che la compagnia assicuratrice avesse comunicato di voler elevare la franchigia (ossia la quota di danni che una compagnia non pagaall`assicurato) da30 milioni (secondo altre fonti 50) a 100 milioni di euro, a fronte dei difetti, stato di usura, malfunzionamento degli impianti. Salvo che questi non fossero posti sollecitamente a norma, con una spesa, è stato pure scritto, di soli 800.000 curo. Difronte allaloro matrice di decisione, i dirigenti della multinazionale, fossero a Torino, o altrove in Italia, o in Germania, devono aver pensato che la probabilità che un incidente si verificasse nei mesi residui di vita della fabbrica era abbastanza bassa da non valere la spesa.
Perciò in quei maledetti impianti torinesi l`adeguamento alle norme non è stato deciso, o almeno non è stato eseguito in tempo. Di mezzo si può presumere vi siano state negligenze dei dirigenti, ovvero azioni o inazioni colpose o dolose, che la magistratura sta accertando e, al caso, sicuramente colpirà. Tuttavia, al di là della vicenda ThyssenKrupp, gli incidenti sul lavoro non sono destinati a diminuire di molto se tra le loro cause non verrà inclusa, traendone poi le implicazioni, anche una cultura di impresala quale postula come generale criterio guida che una bassa probabilità di incidente non giustifica interventi per ridurla a zero, anche se l`evento può recare danni alle persone. In altre parole, occorre ammettere che la patologia non sta solamente nella negligenza o irresponsabilità di questo o quel dirigente. Bisogna rendersi conto che la patologia risiede pure in quella che è invece considerata la normalità, una cultura economica ed organizzativa che conduce i dirigenti a ritenere che un incidente il quale può verificarsi, si fa per dire, con l`uno per cento di probabilità, non giustifica la spesa necessaria per impedirlo. Pur quando esso promette di portare con sé, ove si verifichi, lutti e dolori.

Da "LA REPUBBLICA" di venerdì 4 gennaio 2008

sabato 5 gennaio 2008

60 ANNI


La lezione di Piero Calamandrei


L'articolo 34 dice: "I capaci e meritevoli anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". E se non hanno mezzi? Allora nella nostra Costituzione c'è un articolo che è il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo, impegnativo per noi che siamo antenati, ma soprattutto per voi giovani che avete l'avvenire davanti a voi. Dice così: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del paese" È compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto si potrà veramente dire che la formula contenuta nell'articolo1° " La Repubblica d'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro", questa formula corrisponderà alla realtà perché fino a che non c'è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un'uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società. E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà; in parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere, quanto lavoro vi sta dinnanzi!

Il merito e il salario

LA FATICA DEL LAVORARE BENE
di Pietro Ichino
Il presidente di Confindustria, Montezemolo, ha rilanciato con forza, in questi giorni, la parola d’ordine della meritocrazia; e il segretario della Cisl, Bonanni, gli ha risposto positivamente: «Il nostro obiettivo è lavorare meglio e di più, per produrre e guadagnare di più». Su questo tema, invece, la Cgil resta abbottonata. Questa sua riluttanza non risponde a ragioni tattiche contingenti: ha radici profonde nella cultura della sinistra. E niente affatto disprezzabili.
A sinistra l’idea dominante è che la produttività non sia un attributo del lavoratore, bensì dell’organizzazione aziendale in cui egli è inserito. «Prendi un ingegnere bravissimo e mettilo a spaccare le pietre: otterrai probabilmente un lavoratore molto meno produttivo di uno spaccapietre analfabeta». Se, poi, nessuno domanda pietre, entrambi stanno fermi e la produttività di entrambi è zero. Nel dibattito di tutto lo scorso anno sui nullafacenti del settore pubblico, questo è stato immancabilmente il concetto che veniva contrapposto all’idea di commisurare le retribuzioni anche ai meriti individuali: «Il risultato penosamente basso di molti uffici — si è detto da sinistra — ma anche il difetto di impegno di molti impiegati dipendono dal pessimo livello di organizzazione e strumentazione ».
C’è del vero in questo argomento; ma a sinistra si cade spesso nell’errore di fermarsi qui. È l’errore che il grande Jacovitti rappresentò con l’indimenticabile vignetta dove una mucca dall’aria torpida e pigra diceva: «Sono una mucca per colpa della società». La realtà è che la produttività del lavoro dipende da entrambe le variabili: sia dall’organizzazione, e talvolta da circostanze esterne incontrollabili, sia dalla competenza e dall’impegno del singolo addetto. E conta anche il suo impegno nel cercare l’azienda dove il proprio lavoro può essere meglio valorizzato.
Commisurare interamente la retribuzione al risultato significa, certo, scaricare sul lavoratore tutto il rischio di un esito negativo che può non dipendere da suo demerito. Ma garantire una retribuzione del tutto stabile e indifferente al risultato significa cadere nell’eccesso opposto: così viene meno l’incentivo alla fatica del far bene il proprio lavoro e del muoversi alla ricerca del lavoro più utile, per gli altri e per se stessi. Questa stabilità e indifferenza della retribuzione è la regola oggi di fatto imperante in tutto il settore pubblico, ma troppo largamente applicata anche in quello privato, per effetto di contratti collettivi che lasciano uno spazio del tutto insufficiente al premio legato al risultato.
E questo è uno dei motivi —insieme, certo, a tanti altri difetti strutturali e imprenditoriali — della bassa produttività media del lavoro nel nostro Paese. Per uno stipendio magari basso, che però matura qualsiasi cosa accada, ci sono sempre i lavoratori che si impegnano a fondo, se non altro per rispetto verso se stessi, e si ribellano alle situazioni di improduttività; ma ce ne sono sempre anche altri che se la prendono comoda, fino al limite del non far nulla. Un’iniezione di meritocrazia nei contratti collettivi e individuali fa certamente bene anche a questi ultimi.
27 novembre 2007